Lingua e letteratura, identità e alterità

Nella produzione letteraria in lingua friulana, nei secoli XVI e XVII, a partire dalle opere di autori come Girolamo Sini, Nicolò Morlupino, Girolamo Biancone, Ermes di Colloredo ed Eusebio Stella, si manifestano anche una certa coscienza della specificità linguistica in forma più o meno cosciente e decisa della volontà di usare la propria lingua “come lingua” e “in quanto propria”. Si tratta di una sensibilità che si ripropone anche in tempi più recenti, per esempio con lo sviluppo delle traduzioni e della prosa tecnica soprattutto nel Friuli orientale a partire dal Settecento, nelle diverse scuole letterarie del Novecento, nell'emergente giornalismo in friulano di fine Ottocento e nella maggior parte della produzione editoriale e multimediale contemporanea nella lingua.

Nonostante la grande minorizzazione subita dal friulano e dai friulani soprattutto negli ultimi centocinquant'anni, la percezione di avere una lingua diversa, con l'attribuzione a questa peculiarità di un certo valore, quanto meno in termini affettivi e identitari, è un tratto comune ai friulani ancora oggi ed anzi, negli ultimi decenni, è cresciuta.

Il riconoscimento “dall'esterno” dell'originalità linguistica friulana, connesso con altri tratti culturali  con cui concorre a definire la specificità e l'unità territoriale del Friuli, si conferma tra Ottocento e Novecento, in particolare in ambito italiano.

Indicazioni in tal senso giungono dalle riflessioni del poeta e folclorista piemontese Costantino Nigra, che nell'Ottocento considera il Friuli come «un'isola culturale intatta da secoli» e lo esclude dal suo studio sui canti popolari in Italia, insieme a Corsica e Sardegna e a quelle che chiama «colonie straniere», cioè quelle altre comunità che un secolo dopo, con la legge 482/1999, sarebbero state riconosciute come «minoranze linguistiche storiche».

Con riferimento alle considerazioni di Costantino Nigra non si può fare a meno di osservare che le particolarità dell’«isola» Friuli da lui riconosciute non trovano la propria radice nell’isolamento, ma al contrario nella contaminazione e nel confronto con altre realtà, contermini e non solo.